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Le donne nell’assalto alla Moncada

Data: 

10/05/2013

Fonte: 

Granma Internacional

Haydée Santamaría Cuadrado!", gridò il messo del tribunale.

Questo nome provocò nella sala un’intensa emozione, dato che questa donna era considerata da tutti i membri del tribunale la principale testimone della difesa, dopo Fidel.

Lo annotai nella quinta udienza di luglio, dopo i fatti della Caserma Moncada.

Lei e la dottoressa Melba Hernández Rodríguez del Rey furono le due donne che facevano parte del contingente di giovani rivoluzionari che con la guida del dottor Fidel Castro furono protagonisti delle gesta del 26 di Luglio del 1953.

Erano ansiosi di ascoltarla nel processo, perchè le due ragazze facevano parte della retroguardia diretta da Abel Santamaría, il secondo capo del Movimento,  passato alla storia come “la generazione del centenario di Martí”.

Furono le due testimoni più intense dei crimini commessi contro il gruppo più numeroso dei combattenti, la mattina del 26, quello che con Abel Santamaria Cuadrado e una ventina di compagni occupò l’Ospedale Civile Saturnino Lora.

Solo le due ragazze videro uscire vivi tutti i compagni, includendo il dottor Mario Muñoz, assassinato davanti a loro  mentre lo portavano alla caserma, a un isolato dall’Ospedale Civile.  Non riuscirono a farle tacere.  Haydée disse: "Abel ripeteva sempre: quello che non deve morire assolutamente è Fidel! Lui è quello che deve vivere! Se Fidel vive, la Rivoluzione trionferà!” Lo ha detto a me e a Melba nell’Ospedale, quando si e reso conto che  l’assalto a sorpresa era fallito”.

Il tribunale aveva fatto uno sforzo per non farla dichiarare. Sapeva sin da prima che le sue accuse sarebbero state pesantissime. Il giovane avvocato d’ufficio, Baudilio Castellanos, il difensore, voleva che fossero assolte.

Avevano  a loro favore il fatto che si accettava giuridicamente la loro presenza nell’Ospedale come infermiere, “motivo nobile” assieme al dottor Muñoz e il “motivo nobile” era un’attenuante, ma Haydée insisteva per essere processata e condannata come Melba e gli altri compagni sopravvissuti. Insistette nel denunciare i crimini, con una forza incredibile.

Disse : "Una guardia ha domandato chi di noi era Haydée e gli ho risposto che sono io.  Allora mi ha chiesto chi era Boris e gli detto che è il mio fidanzato e gli ho chiesto dove li tenevano, perchè era uscito vivo dall’Ospedale come gli altri.  La guarda ha detto  che stavano in una stanza vicina e io gli ho chiesto cosa gli avevano fatto.  Mi hanno risposto cose che non vorrei dire davanti al tribunale, per pudore... mi hanno detto che gli avevano estirpato i testicoli per farli parlare. Uno ha aggiunto: ·Se non lo abbiamo ammazzato puoi ancora salvargli la vita. Dicci chi sono quelli coinvolti in tutto questo”.  

Io gli ho gridato: “ Se lui ha saputo tacere, non sarò io che lo tradirò adesso, criminali!”   Poi hanno detto ancora: “Se a tuo fratello mancava un occhio con una bugia, adesso gli manca davvero!” La guardia si riferiva al fatto che al gruppo di Abel, fallito l’assalto a sorpresa, le infermiere dell’Ospedale,  rendendosi conto che erano rivoluzionari e non soldati, anche se erano vestiti con le stesse uniformi, cercarono di salvare loro la vita vestendoli con  i pigiami dei malati, mettendoli  nei letti dell’Ospedale.

Abel lo portarono nella sala di oculistica anche de lui voleva continuare a combattere.  Haydé era molto pallida, vestita d nero. “Se vuole può smettere di dichiarare”, disse il Pubblico Ministero, ma lei continuò la sua denuncia con la fronte alta, cercando di controllare la sua emozione. In quella sala il solo suono percettibile era il timbro della sua voce che angosciava tutti.

Poi si ascoltarono le dichiarazioni di Melba, che denunciava i crimini e diceva a voce alta: “Fidel non era malato, quando lo hanno portato  via  dalla Sala!”

Il giovane avvocato accusato si era trasformato in accusatore. Fu lei che nella sua condizione di avvocata, portò di nascosto dal carcere di Boniato  al tribunale la lettera scritta da Fidel nella prigione, nella quale sosteneva di non essere malato, come si sosteneva per non farlo partecipare al processo in quella sala dove, dato c’erano molte persone, la sua voce risultava “troppo sconveniente”.

Sia Haydée che Melba facevano parte del nucleo centrale del Movimento Rivoluzionario da quando Fidel aveva conosciuto Abel,  e di fatto l’appartamento di 25 y O, nel Vedado, dove vivevano Abel e sua sorella, era divenuto il centro della direzione del Movimento.

Le altre donne

Sin da quei giorni di preparazione altre donne cubane  parteciparono, a favore di "quel che veniva", in diversi compiti, tra i quali  la confezione delle uniformi, nell’appartamento dei genitori di Melba, e tra queste sua madre, Elena Rodríguez del Rey; Elita Dubois, moglie di José Luis Tasende, Nati Revuelta, Delia Terry e Lolita Pérez  che ricamava i galloni .

Prima e dopo il 26 luglio del 1953, fu ben chiara la partecipazione delle donne cubane, che sin dagli albori del centenario dell’ Apostolo avevano organizzato il Fronte Civico delle Donne Martiane.  La professoressa Aida Pelayo, la cui voce non taceva di fronte alla politica, fu coinvolta nel processo, anche se non aveva fatto parte del contingente che irruppe a Santiago e a Bayamo.

La relazione delle donne che solidarizzarono con i rivoluzionari fu intensa;  tra loro si distinsero in condizioni di rischio estremo, le alunne  infermiere dell’Ospedale, tra il personale sanitario.

L’idea di nascondere i giovani combattenti e di curare i feriti fu loro. Nel suo allegato di difesa, Fidel apprezza il loro comportamento.  

“Le infermiere dell’Ospedale Civile caricarono molti fucili dei combattenti, anche loro hanno combattuto e questo non lo dimenticheremo mai!”

Nella zona di Bayamo, una catena solidale formata da  Bulica González, Narcisa Rodríguez, Esmeregilda, Inés María e da altre modeste contadine, salvò la vita al combattente torturato Andrés García.

Un’altra donna, la rivoluzionaria  Gloria Cuadras, svolse una perenne custodia dei resti degli assaltanti  assassinati, gettati in una fossa comune nel cimitero di Santa Ifigenia, sino a che furono conservati nascostamente nello stesso cimitero da René Guitart, padre di Renato